Proibito Parlare

  • PROIBITO  PARLARE

“Vladimir Vladimirovic abbiamo qualche domanda da farle”



“Voglio fare qualcosa per altre persone usando il giornalismo”
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Questa è una citazione minimalista e semplice ma al contempo significativa e diretta. In poche parole è racchiusa tutta la filosofia del pensiero di Anna Politkovskaja; quel “fare qualcosa per altre persone” non sono parole gettate al vento per giustificare la sua continua ostinazione nei confronti del governo russo. Sono parole che suonano più come una consapevolezza dei propri mezzi e un’ammissione del proprio pensiero di donna pensatrice e attivista. Per leggere gli articoli di Anna Politkovskaja ci vuole coraggio. Non quel coraggio da barricadiero di un centro sociale, ma il coraggio di trovarsi faccia a faccia con una realtà fin troppo cruda da accettare.


“Nella fotografia si vedono Irina Fadeeva e due dei suoi bambini,Staja,di sette mesi, e Artem, di due anni e due mesi. In essa compare anche una quarta persona: Jaroslav. Per l’esattezza il ritratto di Jarosolav, pure lui figlio di Irina, il fratello maggiore di Staja e Artem che loro non hanno mai visto. Il 23 ottobre 2002, Irina era andata a vedere il musical Nord-Ost insieme al figlio Jaroslav ,alla sorella Vika e alla nipote Nastja, figlia di Vika. Doveva essere una meravigliosa uscita familiare, ma Jaroslav, non ancora sedicenne, non è mai tornato a casa. Quando hanno rilasciato il gas, Irina ha abbracciato il figlio e gli ha detto di non avere paura. Poi è svenuta. Quando è tornata in sé, si trovava già all’ospedale. Poco dopo le hanno comunicato che molto probabilmente il corpo di suo figlio si trovava all’obitorio. Pur di andare a riconoscere il figlio, Irina è fuggita dall’ospedale. Sul corpo di Jaroslav ha visto due fori di proiettile, uno d’entrata e uno d’uscita. Così ha compreso per quale motivo in ospedale si era trovata i vestiti intrisi di sangue: con il suo corpo Jaroslav l’aveva protetta dalla sparatoria”.[3]

La scrittura di Anna Politkovskaja è scarna ed essenziale ma anche dotata di una raffinata sensibilità: non chiama le vittime per  cognome, ma per nome, sempre. L’orrore di una famiglia distrutta da una bomba lanciata su un mercato in orario di punta, di una madre ridotta ormai allo stremo delle sue forze per la perdita di un figlio, la continua deturpazione di qualsiasi diritto e la conseguente distruzione della dignità umana, sono temi che popolano gli articoli della giornalista russa. Solo che questa non è la trama di un romanzo di guerra, questo è reale. “Proibito parlare. Cecenia, Beslan, teatro Dubrovka: le verità scomode della Russia di Putin” (pubblicato in Italia da Mondadori nel 2007) racchiude in quattro parti gli articoli pubblicati sulla “novaja gazeta” nel periodo che va dal 2004 al 2006. Quattro diverse parti per quattro temi diversi: la guerra in Cecenia, l’attentato al teatro Dubrovka, quello alla scuola di Beslan e una riflessione finale sulla Russia di oggi.

L’asse attorno a cui ruotano i quattro temi sono le testimonianze, dirette e non, dei veri protagonisti del conflitto russo-ceceno: le vittime. Le loro storie, le loro paure, le loro vite, rinascono attraverso la penna di una giornalista assetata di verità, una scomoda interprete che dichiara ad alta voce i nomi ed i cognomi dei colpevoli degli orrori di cui scrive. Una giornalista “del popolo e per il popolo”.
Una speranza per tutte le vittime che spesso si rivolgevano a lei per fare luce sulla morte di un proprio familiare, o per chiedere aiuti di ogni tipo: dai beni di primo consumo a semplice conforto umano. I suoi articoli sono un bene prezioso che tutti noi dovremmo custodire e rimarcare: non siamo così “sfortunati” da essere nati in Cecenia, ma lo siamo abbastanza da poter condividere una continua diminuzione della nostra libertà di pensiero e di conseguente azione.

“Ma i miei appunti hanno uno scopo ben diverso, sono scritti per il futuro. Sono la testimonianza delle vittime innocenti della nuova guerra cecena, ed è per questo che scrivo tutti i particolari che posso”.[4]

 Gli articoli di Anna Politkovskaja non hanno nazionalità né tempo, sono esempi di come il potere possa essere controllato anche dal basso, senza bombe né omicidi, solo parole. Parole e rispetto. Non quel rispetto servile e consenziente imposto dai regimi (ufficiali e non) e dal nostro menefreghismo morale, ma un rispetto tanto ovvio quanto trascurato: quello per gli esseri umani e perché no, pure di noi stessi. Anna Politkovskaja è stata un esempio di coraggio e di professionalità, una donna che ha posto l’identità di un popolo e di un ideale davanti ogni cosa, anche davanti la sua stessa vita. Una figura che deve continuare a vivere e non finire nel dimenticatoio dell’amnesia collettiva.





  • “AMNESY INTERNATIONAL”





L’amnesia collettiva è quel luogo senza spazio e senza tempo, dove vengono riposti quei fatti, quelle persone, quegli ideali la cui memoria è stata volutamente accantonata un po’ per negligenza un po’ perché la borsa di Gucci che abbiamo visto ha un valore maggiore. Conservare la memoria storica significa farsi carico degli errori e spesso delle morti di altri esseri umani, che il caso ha voluto che non fossimo noi. Per fare questo non occorrono azioni estremistiche e rivolte guerrigliere: spesso basta solo armarsi di consapevolezza per trovare la chiave di volta di questa memoria storica. E perché no, armarsi pure di un sito web. “Memorial”(www.memo.ru)  è un’ associazione apartitica ed indipendente nata in Russia durante gli anni della perestrojka, circa una ventina d’anni fa. Lo scopo di questa organizzazione è quello di conservare e mantenere in vita la memoria storica della Russia, impegnandosi anche nella costruzione di monumenti dedicati al ricordo delle vittime dei gulag, come la pietra Solovetskii in piazza Lubianka.


Si occupa del rispetto dei diritti umani in territorio russo con particolare attenzione alla situazione cecena e del reinserimento sociale delle vittime di guerra. Conserva la memoria collettiva attraverso strumenti culturali come libri, articoli di giornale e testimonianze dirette che grazie a questa associazione, continuano a trovare spazio. Ad oggi, conta diverse filiali sparse in vari paesi del mondo, Italia compresa dov’è nata per la prima volta nel 2004. Temi condivisi da un’altra associazione “Anna viva”(www.annaviva.com)  che, ispirandosi all’operato di Anna Politkovskaja,  continua a diffondere informazioni sull’attuale situazione nei territori dell’Europa dell’est. Caratterizzati invece da un respiro più ampio, troviamo altre organizzazioni  che hanno lo scopo di diffondere quell’informazione che non ci servono a cena e che spesso viene del tutto ignorata. Uno di questo è “project censored” (www.projectcensored.org) che ogni anno, stila la lista delle venticinque notizie più censurate in tutto il mondo. Nato con l’idea di diffondere il giornalismo indipendente, questo progetto ha come scopo principale quello di promulgare come dice il loro motto “the news that didn’t make the news” (le notizie che non hanno fatto notizia ndr.) ovvero le notizie provenienti da ogni angolo del mondo che per motivi politici, non sono state ben accolte dai media dei paesi d’origine. “Ricordare” è la parola che i media sfruttano più spesso durante alcune commemorazioni storiche: forse associare a questa il termine “conoscere” non sarebbe una cosa errata. La conoscenza potrebbe essere un ottimo antidoto all’indifferenza in cui spesso si cade e fin troppo spesso si vive.

“Gridiamo soltanto quando ci toccano personalmente, ed è proprio questa la ragione per cui le autorità da noi si aspettano sempre rassegnazione ed ubbidienza. Nella stragrande maggioranza dei casi la macchina statale ci può contare”.[5]








Le citazioni:
[3] - [4] - [5] :
 “Proibito Parlare.Cecenia, Beslan, Teatro Dubrovka:le verità scomode della Russia di Putin” (Mondadori 2007)
pag. 18,8,13 della prefazione ; pag. 194 e 283 .


Sitografia: 
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