Anna Politkovskaja
- L’importanza di chiamarsi Anna Politkovskaja
“Il mondo teme una proliferazione nucleare incontrollata,io invece temo l’odio”[1]
Un nome non è altro che un’identificazione sociale di noi stessi.
E’ un modo come un altro per dirci “benvenuto, da oggi in poi, tu sarai questo”. Con il passare del tempo però (se si è abbastanza fortunati) quell’identificazione sociale si unisce ad una certa presa di coscienza ed ecco che il nome diventa una consapevolezza. Diventa quello che siamo. Anna Politkovskaja deve averlo pensato qualche volta.
Forse più di una volta: quando firmava i suoi articoli, quando sentiva pesare sulla propria testa l’etichetta di “dead man walking ” oppure quando si immedesimava in ogni madre cecena o russa, in ogni vittima di un odio incontrollato che il “coraggio del suo nome” ha sempre sostenuto e denunciato. Anna Politkovskaja: per alcuni un nome come tanti, per molti un nome. Figlia di due diplomatici dell’Onu, nasce a New York nel 1958: l’estrazione borghese le offrono l’opportunità di una formazione scolastica che le permettono di laurearsi in giornalismo nel 1980 con una tesi sulla poetessa Marina Cvetaeva. La passione per il giornalismo e la sua continua presa di coscienza politica, spingono Anna Politkovskaja a lavorare presso diverse redazioni ( “Izvestija” “Megalopolis express” “Obscaja Gazeta” sono solo alcuni nomi dei giornali in cui ha operato la giornalista). Il 1999 arriva l’anno della svolta: inizia la sua carriera presso la “Novaja Gazeta”. Precisazione necessaria: nata nel 1993, la “Novaja Gazeta” è un settimanale stampato in due diverse edizioni a Mosca e San Pietroburgo. Il giornale rivendica una forte opposizione alla continua riduzione della libertà di stampa dell’era putiniana, agendo senza l’aiuto di alcun partito e facendosi portavoce di scomode verità solitamente celate dal governo russo. In questo giornale prenderanno vita gli articoli migliori della giornalista. L’aumento degli anni trascorsi nella redazione della “Novaja Gazeta” sono direttamente proporzionali all’aumento del suo impegno in terra cecena.
C’è da dire che quando si accosta il termine “impegno” al nome di Anna Politkovskaja, questo prende vita un’accezione del tutto particolare: significare imprimere su carta le vite straziate di famiglie russe e cecene, diventare la voce ufficiale di vittime anonime, svelare gli inganni e le violenze di un di un governo ancorato all’insensata rivendicazione della propria “virilità”. Significa istituire un’iniziativa chiamata “Groznyj casa degli anziani” (volta alla sistemazione in Russia di ottantanove cittadini anziani evacuati dalla capitale cecena sotto sua iniziativa), così come significa ricevere ripetute minacce di morte. Impegno significa fare da mediatrice durante l’attentato al teatro Dubrovka di Mosca e beccarsi pure un avvelenamento durante il volo che avrebbe dovuto portarla a Beslan. Certo, il copione prevede solitamente che per impegni simili ci siano anche riconoscimenti ufficiali come il premio “penna d’oro di Russia” vinto nel 2000, il “global award for human rights journalism” di Amnesty International nel 2001 e il “Tiziano Terzani” nel 2006, solo per citarne alcuni. Ma spesso il copione per un impegno simile, nella Russia di oggi, prevede anche la morte. Era il 7 ottobre 2006 quando il corpo senza vita di Anna Politkovskaja veniva ritrovato presso la propria abitazione. Non è servita nessuna azione terroristica, nessuna bomba russa, solo un uomo (per la cronaca non ancora identificato) con in mano una makarov e poca dignità per far tacere una delle voci più scomode della Russia. Nessun rappresentante ufficiale del governo russo (e di qualsiasi altro governo europeo) fu presente al suo funerale. Peccato che l’ignoto mandante del valoroso assassinio non abbia pensato che “verba volant, scripta manent”.
- 2+2=5
“A volte la gente paga con la propria vita per dire ad alta voce ciò che pensa”[2]
Perché Anna Politkovskaja è stata uccisa? Sapeva e parlava troppo? Ci vantiamo tanto d’aver sconfitto i fascismi, eppure fin troppo spesso ci troviamo di fronte a situazioni estreme come questa. Anzi, correggo la frase appena scritta: raramente ci permettono di capire e leggere di morti simili. Solitamente il suicidio e la morte accidentale sono validi sostituti di omicidi politici. Nella Russia di oggi, se esci dal coro e provi a denunciare una qualsiasi ingiustizia che possa vagamente minacciare gli intrugli di Putin, ti viene cucita per bene un’accusa ad personam e vieni spedito senza troppi rimorsi in carcere. Se poi osi toccare il dente del giudizio chiamato Cecenia, finisci sotto terra. Se per caso sei un cittadino ceceno e vivi nella Russia “post teatro Dubrovka”, puoi congedare qualsiasi diritto tu abbia avuto e ringraziare il kaiser Putin se non sei nella lista di “persone accusate di respirare fin troppo”. La Russia di oggi spalanca le porte del proprio impero all’accogliente occidente e chiude le finestre dei propri abitanti. Un paradosso che sconfina nell’assurdità. Il Cpj (committee to protect journalism) ci informa che dal 1992 fino ad oggi, sono stati uccisi circa 76 giornalisti. Diciannove di questi, appartengono alla Russia di Putin. Anastasia Baburova e Natalia Estemirova, sono solo due dei nomi presenti nella lista di condannati a morte dell’informazione. Il rapporto circa la libertà di stampa nel mondo, stilato da Freedom house non è da meno: nel 2010 la Russia si trovava al 175esimo posto su 196 paesi, ed è stato classificato come paese non libero.
“Il regime ha costruito un muro grazie alla propaganda ufficiale con l’obiettivo di far saltare il collegamento tra società civile e potere. La maggior parte dei cittadini russi non reagisce alle evidenti e continue limitazioni della libertà di stampa nel paese. La Russia non vuole riflettere: il 75% della popolazione si informa solo attraverso la tv e quasi tutti i canali televisivi sono sotto il controllo diretto o indiretto del Cremlino. Tra i giornalisti non c’è unione e la maggior parte lavora per il governo. Dunque non c’è comunicazione: il potere non sa come vive la società, e la società non può sapere come vive il potere”
(Vitaly Yaroshevski- vice direttore novaja gazeta)
Reagire alle limitazioni della libertà di stampa di un paese. Ma come? Il sito www.medialaw.it ci informa che esistono (sia a livello nazionale che internazionale) diversi siti che trattano lo scabroso argomento della libertà di stampa e d’informazione oltre che il rispetto dei diritti umani. Cosa c’entrano i diritti umani? L’articolo 21 della costituzione italiana dice questo a proposito:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure(…)”
La conoscenza è potere si sa, ed il potere (nell’accezione classica del termine) viene fronteggiato solo tramite questa.
Le citazioni:
[1] - [2] :
“Proibito Parlare.Cecenia, Beslan, Teatro Dubrovka:le verità scomode della Russia di Putin” (Mondadori 2007)pag. 18,8,13 della prefazione ; pag. 194 e 283 .
Sitografia:
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